PORTARE E LAVORO
"In Italia il congedo di maternita' obbligatorio e' di cinque mesi, di cui uno o due prima e il resto dopo la nascita, estensibile a 12 mesi con conseguente riduzione della retribuzione ma senza che ci debbano essere ulteriori conseguenze per l'assenza prolungata. Di conseguenza, molte madri rientrano al lavoro dal 3. al 13.mese di vita del bambino.
Ora, la madri si preoccupano molto di questo rientro e cercano di limitare il tempo portato o non cominciano neanche. Se ora si abitua ad essere portato, come faro' poi quando dovro' rientrare al lavoro e lui dovra' andare al nido, dalla babysitter, dalla nonna ?"

A questo punto, sulla base di quanto esposto nella fisiologia del portare, si puo' affermare che portare IN OGNI CASO e' una risposta ai bisogni INNATI del bambino, che non li crea o li accresce ma li colma con il tempo. Pertanto portare non e' mai controindicato se si deve rientrare a lavorare, anzi, puo' diventare un'opportunita' per rafforzare il legame e ritrovarsi nella relazione nel tempo che si passa insieme (sera, fine settimana, pause).

L'esistenza dello spazio portato permette al bambino di ritornarci per ritrovare il suo genitore dopo l'assenza, uno spazio dove ha il permesso di potersi esprimere anche quando sente delle emozioni forti "negative", dove si sente al sicuro per poter piangere e rilassarsi. Se il bambino, nell'assenza della madre, ha a disposizione una persona attenta e sensibile ai suoi bisogni, probabilmente accettera' modalita' diverse di accudimento (sta sul seggiolone e nel passeggino, e' bravissimo all'asilo nido..), ma nel momento in cui rivede sua madre esigera' di essere portato. Sicuramente e' faticoso per la madre, che dopo il lavoro sarebbe stanca, ma e' un'opportunita' per mantenere una buona relazione con il bambino e ripaga anche lei del tempo trascorso lontano.."
tratto da: portare i piccoli, pag. 173

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